by Marco Vettraino

Nel corso degli anni la mia pittura, partita dall'iperrealismo, è giunta in questi ultimi tempi ad uno stile che, a un'osservazione superficiale, può apparire impressionista ma che, dopo una più attenta lettura, si palesa sostanzialmente dissimile. I miei paesaggi, infatti, non sono dipinti "en plein air", bensì vengono accuratamente elaborati in studio, spesso idealizzati, alla ricerca di quella poesia insita nelle piccole cose quotidiane, poesia che, purtroppo, non si riesce più a cogliere e che ormai sfugge ai nostri sensi, sopraffatti come sono da questa società sempre più violenta e superficiale.

Inoltre, altra fondamentale differenza, è costituita dal fatto che gli impressionisti rappresentavano la suggestione suscitata nell'artista dalla visione diretta del soggetto. Io, invece, descrivo la sensazione che il ricordo di quel particolare soggetto suscita nel mio "io" più profondo. La velocità con cui, ormai, le immagini colpiscono l'occhio, unita alla loro enorme quantità, permette di avere soltanto il ricordo di un frammento di quella particolare visione che ha toccato la nostra anima e, pertanto, siamo in grado di far riaffiorare soltanto l'impressione, come ho già detto molto spesso idealizzata, delle emozioni provate nel momento in cui ci trovavamo di fronte a quel particolare soggetto. In questo modo, l'attenzione dell'artista si concentra solo su un determinato dettaglio della scena, mentre tutto il resto diventa evanescente, rarefatto, frammentandosi nello spazio. Per questo motivo i miei quadri acquistano la sottile e impalpabile sensazione di una visione vagamente onirica ma, nello stesso tempo, diventano più reali della stessa realtà, perché il quadro si trasfigura in un condensato del reale, come se, in quell'unico  particolare focalizzato, venisse sintetizzata la verità dei miei sentimenti e delle mie emozioni.

Nelle mie opere più recenti ho cercato di realizzare dei fondi che ricreassero l'effetto di un intonaco grezzo, aspro, irregolare e rovinato.

In passato ero convinto che l'arte potesse avere una valenza consolatoria nei confronti delle brutture del mondo. Attualmente, purtroppo, sono giunto alla conclusione che, così come questi sfondi decadenti deturpano, in un certo senso, le mie opere, l'umanità sta distruggendo l'arte e quanto di bello ci può essere su questa terra. Gallerie che svolgono soltanto attività di affitta muri, guadagnando sulla passione dei pittori, "critici" o pseudo tali che presenziano a manifestazioni di qualsiasi genere e valore, la gente che, come nella favola del re nudo, non ha il coraggio di esprimere una propria opinione riguardo alle opere d'arte ma accetta supinamente il giudizio di questi cosiddetti "critici".

Se un artista chiamasse la coda di un cane zampa, pensate che questo cane camminerebbe su cinque zampe? Allora perché se un artista chiama un orinatoio fontana, questo dovrebbe diventare un'opera d'arte e perdere la sua funzione originaria che è quella di urinarci? L'arte non è filosofia, non è la moltitudine di arzigogoli e masturbazioni mentali con cui i "critici" cercano di far apparire delle cose insulse come opere d'arte. Dovrebbe semplicemente suscitare nello spettatore emozioni, sensazioni, in una parola fargli vibrare l'anima. Se uno scrittore inventasse una lingua tutta sua, pensate che riuscirebbe a provocare nel lettore una benché minima emozione?

La triste conclusione a cui sono giunto è che l'uomo moderno sta perdendo la coscienza della propria individualità e unicità, rimanendone, anzi, quasi intimorito; uscire fuori dal coro lo spaventa, pronto com'è a uniformarsi alla moda e al pensiero del momento.

L'arte è morta, lunga vita all'Arte!

                                          Marco Vettraino




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